Candace, Venezia, Rossetti, 1740

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Atrio del real palagio.
 
 AMASI E TILAME
 
 AMASI
 Vive Evergete?
 TILAME
                               Incerto
 serpe, signor, tra il volgo
 l’infausto grido.
 AMASI
                                O sempre
 dal fianco di chi regna
5indiviso timor.
 TILAME
                               Eh, non rinasce
 chi fu preda di morte.
 AMASI
 D’Aprio il figlio morì?
 TILAME
 Per tuo cenno real trasse il mio ferro
 da l’anguste sue fauci
10misto col latte il sangue.
 AMASI
 Salvato avria la frode
 l’odiato bambin?
 TILAME
                                  Agatoclea,
 a cui del tuo Lagide in fasce ancora
 commessa era la cura,
15gionta, allora ch’io trassi
 per tuo sovran comando ad essa il piede,
 a l’estreme agonie, tepidi baci
 sovra il volto imprimea del nato appena
 Aulete; e di lei figlio
20abbastanza il dicea il di lei pianto.
 Negletto il tuo Lagide
 traea sono innocente in culla d’oro.
 L’altro in grembo a Candace,
 che mesta e fuggitiva
25col geloso suo pegno ivi era giunta,
 su le fasce di porpora accogliea
 le lagrime materne.
 De l’infante malnoto,
 più che le gemme onde copria le membra,
30fede facean nel volto di Candace
 il dolore, l’amore e lo spavento.
 Questo io svenai e con il tuo Lagide,
 in vivo testimon de la mia fede,
 te ne recai l’esangue busto al piede.
 AMASI
35Abbandono, o Tilame,
 ne la tua fede il mio terror; un sogno
 de la facile plebe
 in un fantasma il suo Evergete adora;
 codesta idolatria, con cui l’Egitto
40dopo tre lustri ancora
 voti ribelli al sangue d’Aprio appende,
 vuole da me un tributo,
 per cui quel sangue ancor veggasi in trono;
 diamlo o Tilame.
 TILAME
                                  E quale?
 AMASI
                                                     Empia Niceta,
45de la stirpe abborrita ultimo tralcio,
 il letto di Lagide...
 TILAME
 Di tua gran mente il gran consiglio è degno.
 AMASI
 Vanne, Tilame, e veggiami Candace.
 TILAME
 Fausti girino gl’astri alla tua pace. (Parte)
 
 SCENA II
 
 CANDACE e AMASI
 
 CANDACE
50Al suo tiranno innante
 e nemica e reina ecco Candace.
 AMASI
 Anche gli umani affetti
 cangia, Candace, il tempo; un gran dolore
 dopo lunga stagione illanguidisce.
 CANDACE
55No, s’ei prende alimento
 da robusta virtù.
 AMASI
 Pace, pace o reina; e se su l’erto
 d’un trono, onde Aprio scese
 e sovra cui il mio valor mi trasse,
60degno de l’odio tuo ti sembro ancora,
 ho su quel trono ancor di che placarti.
 CANDACE
 Scendine traditor e l’empia testa
 getta a piè di quel trono,
 così placa il mio sdegno e ti perdono.
 AMASI
65Vedi quanta clemenza
 in Amasi tu trovi; a tante offese
 co’ miei doni io rispondo.
 CANDACE
 Co’ doni tuoi? Con la tua morte forse?
 AMASI
 Col talamo real del mio Lagide
70che a Niceta presento.
 CANDACE
                                           Una mia figlia
 nuora d’un mio vassallo?
 Aggiungi d’un fellon, d’un parricida?
 AMASI
 Di’ del suo re; con la corona in fronte
 questo illustre carattere mi splende.
 CANDACE
75Va’, la grandezza ostenta
 di tua sovranità; ma di Niceta
 non dia l’illustre seno
 stirpe di parricidi al vasto Egitto.
 AMASI
 Candace, olà, chi la clemenza abusa
80lo sdegno irrita.
 CANDACE
                                Or via,
 ti vuo’ clemente sì ma la clemenza
 vuo’ che sia giusta; rendi,
 rendi a Niceta un padre,
 uno sposo a Candace
85che tu fellon svenasti;
 rendi ad ambe Evergete
 che il carnefice tuo
 dal sen mi svelse e trucidò sugli occhi
 de la madre infelice;
90rendili, traditor, e ciò preceda
 le nozze di Lagide.
 AMASI
 Il so, Candace, il so; questo Evergete,
 che da l’insano volgo
 vivo si cerca, il tuo furor nodrisce.
 CANDACE
95Vivo si cerca! Ah, cerchisi fra i sacri
 mirti dei vasti Elisi.
 AMASI
 Ah, se la frode mai d’astuta madre
 cangiato avesse...
 CANDACE
                                  Come? Arte cotanta
 resta ad un gran dolor? Vile t’intendo.
100De l’estinto Evergete
 sin l’ombra ti spaventa
 dal suo sepolcro o del gran sangue d’Aprio
 illustre vanto; or va’, chiedi Niceta
 al letto di Lagide
105senza tremarne; ell’ha nel petto ancora
 la metà d’Evergete.
 AMASI
                                      A tanto rischio
 per la tua gloria espongo il figlio e nieghi
 sino ad un tuo nemico un suo spavento?
 CANDACE
 L’onor io gli contendo
110di morir per la man d’una mia figlia.
 AMASI
 Eccola; meno fiera (Giunge Niceta)
 essa forse sarà.
 CANDACE
                               Niceta, ascolta;
 osa costui chiederti in moglie al suo
 detestato Lagide;
115questi nel sangue ostenta
 de le paterne colpe
 la turpe eredità; seco ti lascio
 a trionfar del suo protervo orgoglio.
 Il tuo dover coi sensi miei consiglia
120e sappi ch’io son madre e tu sei figlia.
 
    Non ti lusinghi il trono,
 non ti consigli amor,
 d’un empio traditor
 l’ira non paventar.
 
125   Rammentati chi sono,
 rammentati chi sei,
 gli ultimi sensi miei
 figlia non obbliar.
 
 SCENA III
 
 NICETA, AMASI e poi EVERGETE, creduto Lagide
 
 AMASI
 Garrisce invano, o principessa, il labbro
130di frenetica madre
 ove parla il sovran; t’addito un trono
 a cui sposa e reina
 di Lagide dal talamo tu salga.
 NICETA
 Sì, me ne formi il grado
135il cadavere tuo, getti Lagide
 dalle vene il tuo sangue; ed io vi salgo.
 AMASI
 Niceta, ha la corona
 i suoi fulmini anch’essa ed un comando
 ch’esce da regio labbro
140ha per farsi ubbidir forza che basta.
 NICETA
 Per chi ha in prezzo la vita
 più che la gloria sua, nol niego, ha forza;
 ma chi morte non teme
 tra’ suoi fulmini scherza.
 AMASI
145Vediam fin dove giunga
 tanta costanza; oggi sposa a Lagide
 o domani al carnefice la testa.
 EVERGETE
 Che sento, o sommi dei! (Sopragiunge Evergete creduto Lagide)
 NICETA
 Eccolo. Io già rifiuto il nodo indegno
150ed a prezzo di lui la vita io sdegno.
 AMASI
 Dunque...
 EVERGETE
                      Padre e signor, dove ho di parte
 cotanta anch’io, concedi
 che i miei sensi t’esponga;
 cercherem noi, signor, diritti al soglio
155da la man di Niceta?
 Né di viltà l’Egitto
 fia che ci accusi? Il tuo
 formidabile braccio
 sul crine ti fermò l’ampia corona,
160per custodirla a me non basta il mio?
 Regniam signor, regniamo
 in piena libertà di dare al trono
 successori reali
 che il vantino in rettaggio e non in dono.
 AMASI
165Lodo, Lagide, i sensi
 magnanimi del tuo genio sublime
 ma il mio comando ha una ragion cui deve
 ubbidienza il figlio e più la deve
 una superba donna.
170Niceta, intendi, la mia legge è questa;
 oggi sposa a Lagide
 o domani al carnefice la testa.
 
    O rendi il cor placato
 o col rigore ingrato
175svenata oggi sarai.
 
    E con miglior consiglio
 amor prometti al figlio
 e allor nel padre ancora
 la pace tua godrai.
 
 SCENA IV
 
 NICETA, EVERGETE creduto Lagide e poi LAGIDE creduto Aulete
 
 EVERGETE
180Non nasce, o principessa,
 da un disprezzo orgoglioso il mio rifiuto;
 t’amo Niceta e t’amo
 coi più teneri affetti
 de l’alma mia; ma questo amor ricusa
185fuori del tuo piacere il suo diletto;
 il tuo bel foco è Aulete
 e in reciproca fiamma
 egli per te si strugge
 e l’illustre amistà, che ad esso io devo,
190mi vieta l’aspirar a ciò ch’è suo.
 NICETA
 La tua virtù, Lagide,
 Amasi assolve ed io non veggo in esso
 se guardo il padre tuo tutto il tiranno;
 amabile egualmente
195io trovo Aulete, e se ne miro il volto
 e se il tuo labbro ascolto. (Sopraviene Lagide creduto Aulete)
 LAGIDE
 Qual fausto grido, o principe, qual fama
 adorata Niceta
 empie la corte ed il mio sen di gioia?
200Sovra il trono d’Egitto
 tu ritorni reina e te ne inalza
 Lagide che il mio cor teco divide.
 NICETA
 Amasi, sì il volea;
 ma la virtù del principe mi rende
205la vita ch’io perdea
 lasciando in libertà gli affetti miei
 a te mio ben che il solo re ne sei.
 LAGIDE
 Eh no; non ama Aulete
 bassamente così ch’una corona
210tolga a te l’amor mio, ch’egli contenda
 a l’illustre Lagide
 il tuo cor, la tua destra;
 amicizia mel vieta, amor nol vuole.
 EVERGETE
 La fiamma, amico, onde tu avvampi amante,
215degli occhi di Niceta è un vivo raggio.
 Altri non può contaminarla, senza
 il merito oltraggiar della tua fede.
 LAGIDE
 Ma d’Amasi il comando...
 NICETA
                                                 Egli minaccia
 la morte al mio rifiuto.
 LAGIDE
                                            O dei, che sento!
 EVERGETE
220Contro il furor del padre
 l’amor del figlio è scudo.
 LAGIDE
 Ah s’egli mai...
 EVERGETE
                              Mia cura
 fia placare il suo sdegno; ad esso io vado.
 Userò prieghi ed argomenti e quanto
225sapran dettarmi i sacri
 numi d’amor e d’amicizia; e quando
 svolger mai non potessi il rio consiglio
 né vassallo son più né più son figlio.
 
    Di rose io spargerò
230de’ vostri amori il nido,
 che un cuor del mio più fido
 già mai non palpitò.
 
    Turbarlo mai non può
 né amor né tirannia,
235che il più de l’alma mia
 la fede già occupò.
 
 SCENA V
 
 NICETA e LAGIDE creduto Aulete
 
 NICETA
 Non bastava, o crudele,
 un sol timore al misero cor mio
 se tu non v’aggiungevi
240un secondo spavento?
 Tu consigliarmi a perderti? Potesti
 pensarvi, ingrato, e dirlo ancor?
 LAGIDE
                                                            Niceta,
 tanto io dovea, doveasi a tua grandezza,
 doveasi a la fortuna
245de l’amico Lagide,
 questa de l’amor mio vittima illustre;
 ma Lagide in virtù troppo m’avanza,
 tu mi vinci in amor.
 NICETA
                                        Ma se il tiranno
 l’empia legge sostenta?
 LAGIDE
                                             Ha l’amor nostro
250in Lagide il suo fato.
 NICETA
                                        In esso io spero;
 ma se mai un destino
 maggiore di Lagide
 mi sforzasse a lasciarti,
 saprei prima morir che disamarti.
 
255   Troppo caro, o dio mi sei,
 vago sol degli occhi miei,
 per poterti abbandonar.
 
    Ah! Se io vivo sol per te,
 se a te servo amore e fé,
260altri mai non potrò amar.
 
 SCENA VI
 
 Appartamenti.
 
 CANDACE e TILAME
 
 TILAME
 Donna real.
 CANDACE
                         Tilame,
 noi siam perduti.
 TILAME
                                   E quale
 importuno timor?
 CANDACE
                                    Già d’Evergete
 vivo favella il volgo e già il tiranno...
 TILAME
265E già il tiranno inciampa
 nel laccio ch’io gli tesi; io, donna eccelsa,
 io stesso sparsi il grido
 che viva il prence.
 CANDACE
                                    Come?
 TILAME
                                                    Io stesso a l’empio
 Amasi ne recai
270con simolato zelo
 l’annunzio grave.
 CANDACE
                                  Ah traditor, son questi
 di tua fé gli argomenti?
 TILAME
 Ah sospendi, reina,
 l’ingiusto sdegno e ascolta;
275non doveasi affidar a la malnota
 fede del nostro Marte
 il destin d’Evergete; ad accertarla
 questa fama giovò; dentro ogni core
 s’applaude al vivo prence, il rio tiranno,
280nel fatale sospetto
 posto da me, ricovra
 ne la sola mia fede il suo spavento;
 e ad acchettar de’ popoli il tumulto
 solo idoneo ministro egli mi crede;
285Aulete stesso, in cui
 il mio principe già fido adorai,
 riprese d’Evergete
 i magnanimi sensi,
 corre al suo trono.
 CANDACE
                                    Che? Lo stesso Aulete
290si conosce mio figlio?
 TILAME
                                          Ad esso ancora
 svelai...
 CANDACE
                 Ah disleale
 è questa la tua fede?
 Questi il tuo zelo? Il tuo silenzio io chiesi,
 non l’opra tua, quello tradisti e questa
295giustamente è sospetta.
 TILAME
 Tu condanni, o Candace,
 il più fedel.
 CANDACE
                        Condanno
 un traditor che a l’empio vanto ancora
 di parricida aspira.
 TILAME
300Io?
 CANDACE
          Sì, vanne ed esponi
 l’infelice Evergete
 d’Amasi al rio furor.
 TILAME
                                        Ah mia reina...
 CANDACE
 Vanne fellon, del tradimento enorme,
 che l’alma mia spaventa,
305l’atrocità con quel gran sangue ostenta.
 TILAME
 
    Mira di questo cor
 l’onor, la bella fede,
 con gioia tua maggior,
 allor vedrai quest’alma
310che fida a te vivrà.
 
    A torto mi condanni,
 troppo crudel tu sei
 ma spero un giorno ancora
 noto il candor sarà.
 
 SCENA VII
 
 CANDACE e poi LAGIDE creduto Aulete
 
 CANDACE
315Or più che mai geloso,
 veglia, o cuore di madre, al gran periglio
 del tuo Evergete; Aulete
 tale si creda e sia
 la doppia frode un certo asilo al figlio.
320Eccolo, a l’armi, o cor.
 LAGIDE
                                          Con quale mai
 nome più sacro, o donna augusta, io debba
 oggi appellarti, il mio stupore incerto
 da te ricerca. Io dunque,
 né m’ingannò Tilame,
325io di te nato? E del grand’Aprio il sangue
 gira nelle mie vene?
 CANDACE
 Vieni fra le mie braccia,
 miglior parte di me, sola speranza
 del mio giusto dolor, dolce mio figlio;
330se malcauto Tilame
 l’arduo arcano scoprì, luogo non resta
 a l’arti mie; tu solo,
 cara reliquia, sei del mio tradito
 signore e sposo; a te riserba il cielo
335quell’illustre corona
 che ti guarda il mio amore ed il mio zelo.
 (Giovi l’inganno, o cieli). (A parte)
 LAGIDE
 Ma sì lunga stagion perché celarmi
 il carattere illustre
340di tuo figlio e di re?
 CANDACE
                                       Non mai geloso
 abbastanza è l’amore in cor di madre.
 Ad immatura età non ben si affida
 custodito segreto. Amasi vivo
 il mio spavento ancora
345non ben s’accheta e tutto il cor non cede.
 LAGIDE
 Eh no madre, non più, non più si tema
 il regnante furor, già tutto applaude
 a la nostra speranza.
 CANDACE
 Solo il tempo, Evergete,
350nuocer ti può; tu vanne,
 rapido ostenta al popolo, ai soldati
 in te d’Aprio l’erede;
 precipiti, non cada
 Amasi dal suo soglio;
355e prima ch’ei ti vegga, il ferro ei senta
 ne le fibre crudeli
 del cuore traditor; a te s’aspetta,
 figlio, d’Aprio la tua, la mia vendetta.
 LAGIDE
 Rapido a la grand’opra
360madre men vo; ma pria
 concedi che prostrato
 al tuo piede real un bacio imprima
 su la materna destra;
 e tale ardore in questo bacio io prenda
365che del padre e di te degno mi renda.
 
    Tu m’acendi l’alma in petto
 di coraggio e di valor;
 e già sento dal tuo cor
 la virtù che parla in me.
 
370   Si vedrà l’illustre affetto
 del materno tuo consiglio,
 si vedrà che degno figlio
 i natali ebb’io da te.
 
 SCENA VIII
 
 CANDACE sola
 
 CANDACE
 Stelle, a voi che vegliate
375fedelmente sui casi de’ monarchi,
 nel periglio imminente
 il destin d’Evergete a voi consegno;
 quanto puote il mio amore
 tutto egli oprò; confuso
380così col finto ho il vero
 ch’Amasi non saprà dove lo sfogo
 getti del suo furor; ei tema ed ami;
 ei temerà nel suo nemico il figlio
 ed amerà nel figlio il suo nemico.
385Per non perdere un sangue,
 due ne risparmi ed un ingiusto scempio
 ne l’atroce desio,
 la gelosia del suo conservi il mio.
 
    Fredda tema, sospetto e furore
390sian tormento d’un’alma tiranna,
 son contenta se un barbaro core
 sia costretto penare e tremar.
 
    Ah mi sembra veder quell’indegno
 nel gran dubbio di padre e nemico,
395tutto acceso di timido sdegno,
 or gelarsi, talora avvampar.
 
 Monte Parnaso. Siegue ballo delle muse.
 
 Fine dell’atto primo